Secondo i dati diffusi dalla Federazione industria musicale italiana, nel nostro Paese il mercato della musica cresce dell’1,44% grazie al digitale. Aumentano in particolare gli abbonamenti ai servizi streaming.
Nel 2020 il mercato globale della musica registrata è cresciuto del 7,4%, segnando il sesto anno consecutivo di crescita: lo dichiara IFPI, l’organizzazione che rappresenta l’industria fonografica internazionale e che pubblica i dati dell’annuale Global Music Report, che mostra ricavi complessivi pari a 21,6 miliardi di dollari.
La crescita, trainata dallo streaming, è legata in particolare ai ricavi dagli abbonamenti premium, aumentati del 18,5%: alla fine del 2020 si registravano infatti 443 milioni di utenti di account in abbonamento a pagamento. La crescita dei ricavi in streaming ha più che compensato il calo dei ricavi di altri formati, inclusi il segmento fisico – diminuito del 4,7% – e i diritti connessi, diminuiti del 10,1% a causa della pandemia.
Affermazione dei consumi digitali in Italia
In un anno complesso per la musica, l’Italia ha mostrato una forte affermazione dei consumi digitali, che hanno registrato una notevole impennata negli abbonamenti streaming premium, i cui ricavi hanno visto un incremento del 29,77% superando i 104 milioni di euro.
Si registra una significativa affermazione dei consumi anche sulle piattaforme social, dove i ricavi dai modelli sostenuti dalla pubblicità sono cresciuti del 31,59% raggiungendo complessivamente 38,9 milioni di euro; e non è da meno il video streaming, che segna + 24,97%. Il grande utilizzo di canali come Instagram e Facebook durante la pandemia ha dato un’accelerata a queste piattaforme, oltre ai tradizionali servizi come Spotify, Amazon Music, Apple Music e altri. La quota di mercato del digitale raggiunge così l’81% di tutti i ricavi dell’industria in Italia, contro il 72% del 2019.
Mercato da 258 milioni di euro
Tra fisico, digitale e diritti il mercato ha generato lo scorso anno oltre 258 milioni di euro, segnando + 1,44% sull’anno precedente.“In questo anno difficile si è di fatto conclusa la lunga fase di transizione digitale del mercato musicale italiano: i consumatori di tutte le età hanno finalmente abbracciato le offerte online generando un significativo incremento nella fruizione dei contenuti musicali su tutte le piattaforme” ha commentato il CEO di FIMI, Enzo Mazza.
Molto rilevante per il settore è stata anche la conferma degli investimenti da parte delle case discografiche nonostante la complessità del periodo, garantendo il perimetro occupazionale e la continua attività di ricerca e sviluppo. Le imprese hanno proseguito nella pubblicazione di novità discografiche anche nella fase più difficile, rispondendo a una sfida epocale per il settore creativo.
Il risultato è che nel 2020 sono stati certificati 156 album tra oro e platino, poco sotto i 166 dell’anno precedente. Il digitale, e in particolare lo streaming, hanno confermato la grande vivacità e le vaste opportunità per gli artisti italiani. La top ten della classifica annuale degli album più venduti è stata infatti occupata al 100% dal repertorio italiano, ampliando e diversificando allo stesso tempo l’offerta.
Ed è cresciuto il numero di artisti che hanno ottenuto significativi risultati di vendita: nel 2020 sono stati 246 gli artisti italiani che hanno superato i dieci milioni di stream contro i 97 che nel 2010 avevano superato la soglia delle diecimila copie vendute tra fisico e download. Le opportunità offerte dal digitale hanno moltiplicato e amplificato il successo degli artisti consentendo di raggiungere risultati notevoli negli ultimi anni.
Segmento fisico penalizzato
Il segmento fisico è stato penalizzato nel 2020 dalle ripetute chiusure – anche se in parte compensate dalla crescita dell’e-commerce, adottato anche da molti retailer tradizionali. E se il vinile continua a mostrare una crescita costante, segnando un incremento del 2,50%, a frenare la caduta del CD ha contribuito il Bonus Cultura, attivo anche nell’anno passato: da 18app sono giunti ricavi per oltre 16 milioni di euro, buona parte proprio sul prodotto fisico.
Grande sofferenza, invece, si registra inevitabilmente nel segmento dei diritti della musica, dove la chiusura degli esercizi commerciali, delle attività di svago e della ristorazione ha segnato una perdita di oltre 18 milioni di euro con un calo superiore al 31%.