Rappresentiamo la realtà

Ottobre 2008. Circondati come siamo da ogni tipo di tecnologia, ci sembra normale parlare del mondo in cui viviamo come di una dimensione digitale.

I telefoni cellulari, grandi protagonisti delle nostre vite, funzionano totalmente in una realtà digitale, il computer, compagno indispensabile di lavoro e svago, è completamente digitale, ma anche le nostre automobili sono digitali in tutta l’elettronica che le controlla, come molti elettrodomestici: per non parlare della televisione satellitare o digitale terrestre che arrivano a noi in modo assolutamente digitale.

Ma cosa significa digitale? Cosa vuol dire e quali sono i pregi del mondo digitale?
Di fatto, per quanto si parli sempre del digitale come del migliore formato possibile, in realtà il mondo in cui viviamo è analogico, totalmente analogico.
Tutto ciò che noi vediamo o ascoltiamo, guarda a caso i due sensi collegati al mondo dell’Audio/Video, ci arriva in modo totalmente analogico, attraverso onde analogiche che si propagano nell’aria.

Per esempio la rappresentazione reale di un suono in un mondo analogico corrisponde ad un’onda acustica, una sequenza continua di punti caratterizzata da una forma che ne esprime la frequenza e l’ampiezza.
Una sequenza continua di punti, infiniti punti, e il problema è proprio questo perché nel mondo digitale non abbiamo a disposizione infiniti punti ma bisogna rappresentare la realtà cercando di approssimarla, imitarla il più possibile per far sì che non sia distinguibile da quella “reale”.

Elaborata trasformazione
I principi di base della “digitalizzazione” di un suono o di un’immagine sono abbastanza simili, ma in questa occasione ci occuperemo dei suoni e di come avviene il loro passaggio dal mondo analogico a quello digitale.

Questo ci aiuterà anche a comprendere meglio la funzione dei tanto decantati convertitori A/D, parte integrante di ogni scheda tecnica di lettori DVD, amplificatori o lettori CD, ma per partire dobbiamo prima di tutto comprendere come i suoni si propagano in natura.

Un suono si diffonde nell’aria sotto forma di onda, un’onda acustica appunto, che con le sue vibrazioni crea uno spostamento d’aria che distribuisce l’onda nello spazio passando, per esempio, dai diffusori degli speaker del nostro stereo, attraverso la stanza, fino al nostro orecchio dove provoca la vibrazione del timpano consentendoci di sentire il suono.

Le due grandezze principali che definiscono quest’onda sono la frequenza e l’ampiezza d’onda. La frequenza di un suono è l’elemento distintivo che rende un suono più grave o più acuto, mentre l’ampiezza dell’onda corrisponde all’intensità del suono quindi differenzia un suono più “forte” da uno più “debole”.

Nelle figure 1a e 1b possiamo vedere due onde acustiche a confronto: la prima, con una frequenza più elevata e quindi più acuta e la seconda, caratterizzata da una frequenza più bassa e quindi capace di riprodurre un suono più grave.
La frequenza è quindi di fondamentale importanza per identificare un suono e la grandezza che permette di esprimerne il valore è l’Hz (Hertz), un valore che indica quanti cicli (complete variazioni) l’onda compie in un secondo.

Ritornando alle figure 1a e 1b possiamo ora dire che la prima con i suoi quattro cicli completi in un secondo ha una frequenza di 4 Hz mentre la seconda, compiendo un solo ciclo nella stessa unità di tempo ha una frequenza di 1 Hz.
La terza onda, quella della figura 1c ha la stessa frequenza della 1a, ma con un’ampiezza d’onda inferiore (e quindi un volume sonoro inferiore). Si tratta di tre esempi qualitativi, ma se vogliamo dare alcuni numeri in termini di acustica possiamo dire che l’orecchio umano è generalmente in grado di udire suoni con frequenze comprese tra i 20 Hz e i 20.000 Hz. Suoni più gravi (meno di 20 Hz) o ultrasuoni (sopra i 20.000 Hz) non sono udibili dall’orecchio umano, un’informazione che ci tornerà utile in molte occasioni. Tanto per dare un’idea la voce umana può variare, da persona a persona, tra i 100 Hz e i 3.000 Hz, mentre si posiziona a 440 Hz il “LA”, la nota utilizzata come riferimento per accordare gli strumenti musicali.

Figura 1a. Un’onda con una frequenza di 4 Hz compie 4 oscillazioni complete nell’arco dell’unità di tempo (1 secondo).

Figura 1b. Un solo ciclo completo in un secondo corrisponde ad una frequenza di 1 Hz.

Figura 1c. Una minore ampiezza dell’onda (distanza tra la linea orizzontale e il punto più alto della curva) comporta una minore intensità del suono.

Onde e punti infiniti
Abbiamo quindi visto che il suono è un’onda, caratterizzata da una frequenza e da un’ampiezza e il disegno dell’onda è, di fatto, una linea o più precisamente una curva, “continua” ossia composta da infiniti punti.

Digitalizzare un suono, o come si dice, “campionare” un suono, significa riuscire a ridisegnare questa linea infinita con un numero di punti limitato, ossia finito (discreto), mantenendo inalterato il suono risultante.

Intendiamoci: non si tratta dei pochi puntini del gioco della Settimana Enigmistica, per farlo si possono usare decine di migliaia di puntini, ma, per quanto numerosi, se comparati al numero infinito di punti utilizzati nel mondo analogico, sono pur sempre poca cosa.

Campioni di riferimento
Se, parlando in precedenza di Hz, abbiamo fatto riferimento alla frequenza dell’onda acustica, questa stessa grandezza rientra ora in gioco per misurare il numero di “puntini” che dovremo utilizzare per riprodurre correttamente un suono nel mondo digitale.

Ma prima di andare avanti dobbiamo capire il concetto di campionamento. Così come negli exit pool dopo le elezioni, le società specializzate cercano di descrivere il voto di tutti gli italiani, prendendo dei “campioni” della popolazione, allo stesso modo è possibile campionare un’onda sonora prelevando, con un determinato intervallo di tempo, dei campioni della stessa.

Si parla quindi di campionamento digitale del segnale e gli Hz in questo caso ci servono per indicare la “frequenza di campionamento”, ossia il numero di campioni (o di puntini) dell’onda sonora che dovremo misurare ogni secondo.
Le figure 2a e 2b indicano rispettivamente un’onda sonora e la sua rappresentazione digitale eseguita con una frequenza di campionamento di 10 Hz, ossia 10 misurazioni in un secondo.

Figura 2a. 10 linee verticali a intervalli regolari indicano i 10 istanti all’interno di un secondo per ognuno dei quali viene effettuato un campionamento per la “digitalizzazione”. In pratica ogni decimo di secondo viene misurato il valore assunto dalla curva e utilizzato come riferimento per il processo di conversione digitale.

Figura 2b. Pur con evidenti limiti la curva creata attraverso le 10 misurazioni ricostruisce sommariamente l’andamento dell’onda analogica originale.

Ancora una volta si tratta di un esempio puramente qualitativo e nella realtà le frequenze di campionamento sono nettamente più elevate come vedremo tra poco.
Rimane intuitivo il fatto che più elevata sarà la frequenza di campionamento tanto più saranno i puntini utilizzati, più fedele risulterà la rappresentazione digitale della curva e migliore la qualità finale.
Ma poiché una maggiore frequenza di campionamento si traduce in un maggior numero di misurazioni e quindi in un maggior numero di dati e di spazio occupato, è importante trovare la frequenza di campionamento più bassa in grado di garantire il mantenimento della qualità sonora.

Teorie e calcoli precisi
Questo numero, teorizzato intorno agli anni ’50, ben prima che il mondo diventasse digitale come lo conosciamo oggi, è legato al fisico Henry Nyquist il quale calcolò che: “La frequenza di campionamento deve essere almeno il doppio della frequenza dell’onda da campionare”.

Ciò significa che presa un’onda con una certa frequenza espressa in Hz è possibile campionarla in modo fedele e, nel nostro caso, “digitalizzarla”, solo a condizione di utilizzare una frequenza minima di campionamento pari al doppio della frequenza dell’onda sonora.

Per fare un esempio, se un’onda ha una frequenza di 5 Hz, ossia compie 5 cicli in un secondo, bisogna fare almeno 10 misurazioni di quell’onda in un secondo (frequenza di campionamento 10 Hz) per ottenere una riproduzione di qualità.

Poiché ovviamente nei suoni che sentiamo si susseguono onde con frequenze diverse, per stare tranquilli è stata scelta come frequenza di riferimento quella più elevata, ossia quella massima udibile dall’orecchio umano, pari a 20.000 Hz.

Guarda caso il doppio di 20.000 Hz è 40.000 Hz e un numero molto simile, ossia 44.100 Hz, è il valore della frequenza di campionamento utilizzata come standard nel mondo audio per il Compact Disc.

Riassumendo, nei CD il segnale audio viene memorizzato “fotografando” 44.100 volte ogni secondo l’onda sonora analogica originale e questa frequenza di campionamento garantisce la registrazione digitale, senza perdita di qualità, di tutte le frequenze udibili dall’orecchio umano, da 20 Hz a 20.000 Hz.

Migliaia di misurazioni al secondo
La frequenza di campionamento è un parametro che entra in gioco ogni volta che si effettua una conversione dal mondo analogico a quello digitale e viceversa. Non è un caso, quindi, che basti guardare la scheda tecnica di un moderno lettore DVD per trovare informazioni quali DAC (Digital Analog Converter – Convertitore Digitale Analogico) 96kHz /24bit.

Tralasciando per il momento il significato dei 24 bit, il primo numero, 96.000 Hz, non è altro che l’indicazione del numero di misurazioni (o campioni) che il processore incaricato della conversione digitale/analogica dei dati digitali memorizzati sul DVD effettua ogni secondo per ricostruire il segnale analogico originale, necessario perché alla fine di tutto, i diffusori del nostro sistema Home Cinema avranno bisogno proprio di quello, di una corrente elettrica, un’onda analogica, per vibrare e riprodurre correttamente il suono memorizzato in formato digitale.

Che fine hanno fatto i bit?
Fino ad ora abbiamo parlato di frequenze di campionamento e di Hertz, ma chiunque abbia un minimo di confidenza con il mondo informatico sa bene che l’unità di misura del mondo digitale è il bit.

Molti altri avranno sentito dire che il mondo digitale si basa su un sistema binario, composto da 1 e 0, uno e zero. È tutto vero e dei bit andremo ad occuparci in un prossimo articolo, definendo la “risoluzione” di campionamento del suono.

Anticipiamo solo che ogni volta che campioneremo il suono, per esempio ognuna delle 44.100 volte necessarie per digitalizzarlo su un CD, troveremo un punto con un valore. I bit ci permetteranno di definire in modo preciso quel valore, come vedremo in un prossimo articolo.

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