Trucchi e segreti della “Bit” generation

Novembre 2008. Nel numero scorso abbiamo cominciato a parlare della digitalizzazione dei suoni, occupandoci della frequenza di campionamento, ossia di quel parametro che indica il numero di misurazioni, quindi di campioni, “catturati” ogni secondo per ottenere una corretta “digitalizzazione” di un segnale analogico.
Abbiamo così visto che passare dal mondo analogico a quello digitale significa prima di tutto ridurre un mondo composto da infiniti valori ad un mondo finito, in cui la realtà deve essere approssimata con un numero finito, per quanto elevato, di valori.

Accanto alla frequenza di campionamento, che ci dice Quando dobbiamo misurare un segnale, abbiamo un altro importante parametro, il numero di Bit utilizzati per rappresentare il segnale misurato, ossia il parametro che ci permette di dire Quanto vale il segnale nel punto in cui viene effettuata la misurazione.

Ed è proprio a questo punto, quando iniziamo a parlare di Bit, che entriamo in contatto con i valori 1 e 0, i due numeri del sistema binario chiamati a rappresentare la realtà nel mondo digitale.
È abbastanza intuitivo – e tra un attimo lo vedremo meglio – che più Bit utilizzeremo nella digitalizzazione di un segnale analogico, più fedele sarà il risultato ottenuto in termini qualitativi, e come all’aumentare dei bit sia destinato a crescere in proporzione anche la mole dei dati generati, richiedendo memorie più capaci e costose.
Di conseguenza sarà determinante cercare (come nel caso della frequenza di campionamento) il numero minore di Bit che ci permetterà di ottenere un risultato di qualità, senza esagerare con lo spazio occupato.

Anche se abbiamo cominciato parlando di musica, per capire nel modo più semplice come funziona il mondo binario dei bit nella digitalizzazione di un segnale, è più intuitivo fare riferimento al modo in cui vengono digitalizzate le immagini: e proprio da un esempio di questo tipo partiremo per poi spostarci nuovamente nel mondo dei suoni.

Poniamo ad esempio di prendere una rappresentazione di una scala di grigi, come quella visibile nella figura 1 e di doverla trasformare in formato digitale.
Come primo problema ci troveremo di fronte alla scelta del numero di Bit da utilizzare per una fedele rappresentazione della scala di grigi (analogica e quindi continua) in formato digitale. Eccoci quindi arrivati ai famosi Bit.

Fondamentale punto di partenza
Un Bit è l’unità di misura utilizzata nel mondo digitale e può assumere solo due valori: 1 e 0.
Ma come possono questi due semplici valori, 1 e 0, rappresentare tutte le variabili presenti nel mondo reale? In effetti, un Bit da solo offre possibilità di rappresentazione della realtà piuttosto limitate: vediamo cosa succede se proviamo a rappresentare la scala di grigi della figura 1.

L’utilizzo di un solo bit significa poter scegliere tra due valori: 1 e 0, due valori che possono essere fatti corrispondere  per esempio nella scala di grigi alle due estremità, i colori Bianco e Nero.

1 Bit = 2 Combinazioni
0 = Nero
1 = Bianco

Come si può vedere nella figura 2, utilizzare un solo Bit per rappresentare la scala di grigi consente di utilizzare due soli valori e quindi due soli colori: Nero e Bianco.
Appare evidente che un simile risultato non possa essere considerato soddisfacente e che, di conseguenza, un solo Bit non potrà essere sufficiente per “digitalizzare” un segnale.

Vediamo perciò cosa succede aumentando a 2 il numero di Bit utilizzati per rappresentare la stessa scala di grigi.
Utilizzare 2 Bit significa disporre di un numero maggiore di combinazioni numeriche e quindi di un maggior numero di sfumature da riprodurre:

2 Bit = 4 Combinazioni
00 = Nero
01 = Grigio scuro
10 = Grigio chiaro
11 = Bianco

Utilizzando due Bit è così possibile visualizzare quattro diversi valori, ottenendo come risultato quello che possiamo vedere in figura 3. Tutte le altre sfumature di grigio comprese tra il nero e il bianco non possono essere visualizzate bensì approssimate al valore più vicino rappresentabile.
Se poi aumentiamo ulteriormente il numero di Bit utilizzati possiamo ottenere un numero crescente di tonalità intermedie.

3 Bit = 8 Combinazioni
000 = Nero
001 = Grigio Molto Scuro
010 = Grigio Scuro
011 = Grigio
100 = Grigio Chiaro
101 = Grigio Molto Chiaro
110 = Grigio Chiarissimo
111 = Bianco

Il totale dei valori che possono essere visualizzati digitalizzando un’informazione analogica è espresso da un’operazione chiamata “elevamento a potenza” e pari a 2 elevato alla n:

2n dove n è il numero di Bit utilizzati.

In pratica per calcolare il numero di valori ottenibili bisogna prendere il numero 2 e moltiplicarlo per se stesso tante volte quanti sono i Bit utilizzati. Per esempio utilizzando 4 Bit si ottengono:

2n = 2n= 2 x 2 x 2 x 2 = 16 Combinazioni possibili.

La figura 4 rappresenta il risultato ottenibile utilizzando 4 Bit, con le conseguenti 16 combinazioni numeriche e i 16 livelli di grigio rappresentabili.

Il minimo indispensabile
Dopo aver visto questi esempi dovrebbe risultare abbastanza chiaro il legame tra i Bit, il numero di valori ottenibili e i risultati conseguenti in termini qualitativi nella conversione Analogico/Digitale.

Ma qual è il numero di Bit minimo da utilizzare per ottenere un risultato soddisfacente? La risposta varia da applicazione ad applicazione.
Nel campo del video digitale vengono solitamente utilizzati 8 Bit, che danno vita ad un numero di toni differenti pari a 256 (2n = 256), un numero che consente di visualizzare in modo piuttosto fedele la scala di grigi, come visibile nella figura 5.

Trasportando questi risultati nel mondo delle immagini a colori RGB e lavorando quindi sulle scale di Rosso, Verde e Blu è possibile ottenere 256 sfumature di ciascun colore fondamentale, che combinate tra loro permettono di visualizzare 16,7 milioni di colori diversi, con una profondità colore di 8 Bit per canale.

Applicazioni più critiche, come il Cinema digitale, lavorano addirittura ad una profondità di colore pari a 12 Bit (4096 toni diversi) per canale RGB, garanzia di una fedeltà assolutamente assimilabile alla realtà analogica, vista l’incapacità dell’occhio umano di distinguere un numero superiore di sfumature.

Ritorno alla musica
Abbiamo utilizzato l’esempio della digitalizzazione di una scala di grigi per via della sua facile rappresentazione, ma concettualmente quanto abbiamo visto può essere facilmente esteso alla “digitalizzazione” di un suono.
La grossa differenza visibile nella scala di grigi utilizzando un numero maggiore o inferiore di Bit è legata alla presenza o meno di “scalini” che separano le diverse tonalità di grigio, rendendo il passaggio da nero a bianco più o meno uniforme.

Nella rappresentazione digitale di un’onda sonora accade esattamente la stessa cosa: più Bit vengono utilizzati maggiori saranno i valori rappresentabili e più accurata e risoluta risulterà la rappresentazione digitale del suono.
Le figure 6a e 6b pur se in modo impreciso (varia anche la frequenza di campionamento) ed elementare, rappresentano un esempio di cosa significhi digitalizzare un’onda sonora con differenti risoluzioni.

Nella figura 6a gli scalini sono molto più alti, poiché con pochi Bit a disposizione i valori rappresentabili sono molto limitati. Nella figura 6b invece, si vedono scalini molto più limitati, grazie all’utilizzo di un maggior numero di Bit utilizzati per la digitalizzazione.

Perché limitarsi?
Nei diversi esempi appena visti appare chiaro come l’utilizzo di un maggior numero di Bit consenta di ottenere risultati qualitativi decisamente superiori. E quindi perché limitarli?
La risposta è molto semplice e riguarda la dimensione dei dati. Più Bit si utilizzano più pesanti diventano le informazioni e più spazio in Megabyte deve essere utilizzato per la loro memorizzazione.

Riprendendo quanto detto sul numero precedente a proposito della qualità CD, possiamo ora aggiungere all’informazione riguardante la frequenza di campionamento, pari a 44.100 Hz, il numero di Bit utilizzati pari a 16.
Ecco, quindi, che finalmente assume un significato più preciso l’informazione secondo cui la digitalizzazione del suono con qualità CD non compressa avviene a 44.1 kHz / 16 bit: 44.100 misurazioni al secondo (campionamenti) con ben 65.536 valori possibili per ogni campione (tra +32.768 e -32.768).

Tutto questo porterebbe già ad una mole di dati piuttosto importante, pari a 705.600 Bit per secondo (un sacco di 1 e 0 posizionati uno dietro l’altro) che devono essere anche raddoppiati dal momento che la registrazione su CD avviene in modalità stereofonica, con due tracce registrate simultaneamente, per un totale di 1.411.200 bit al secondo.

Una mole di dati non indifferente, ma che, grazie al formato binario basato su 1 e 0, ha spalancato le porte al vero, grande, vantaggio del mondo digitale, la compressione dei dati, alla base di codifiche come l’mp3 per l’audio o l’Mpeg-2 e Mpeg-4 per il video, o il Jpeg per le immagini… ma questa è un’altra storia.

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