La morte digitale: cosa succede ai nostri dati dopo di noi?

morte digitale

Lo ammetto: ho una passione per i problemi legali che nascono dove la tecnologia corre più veloce della legge. E non c’è terreno più affascinante (e inquietante) di quello della “eredità digitale”: cosa accade ai nostri dati una volta che non ci siamo più?

Viviamo sempre più immersi in una dimensione digitale. Profili social, archivi cloud, account e-mail, fotografie caricate online, documenti. La nostra identità si è progressivamente smaterializzata, disseminata su server sparsi in giro per il mondo, piattaforme cloud e applicazioni. Ma se è vero che i dati non muoiono con noi, allora chi ne ha il controllo? Possiamo reclamare effettivamente un “diritto all’oblio”, il c.d. diritto “di essere dimenticati”?

carlo ciocca giurisapp
Carlo Ciocca, Avvocato e Co-fondatore di GiurisApp

La cosiddetta eredità digitale è un tema complesso, che coinvolge diritto, tecnologia ed inevitabilmente anche etica. I dati non si dissolvono con la morte fisica, e spesso restano attivi, accessibili, o addirittura gestibili da terzi. Ma chi ha il diritto – o il dovere – di accedervi? E può il defunto disporne quando è ancora in vita?

Nonostante l’apparente evanescenza, i dati digitali possono avere rilevanza patrimoniale, e quindi essere oggetto di successione. Pensiamo a una biblioteca di e-book, a contenuti creati su YouTube o TikTok da famosi influencers e con valore economico.

L’art. 2-terdecies del D.Lgs. 196/2003 (Codice Privacy), introdotto con il Regolamento UE 2016/679 (GDPR), stabilisce che i diritti del defunto relativi ai dati personali possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione.

Tuttavia, il defunto può vietare per iscritto l’accesso post mortem, se tale volontà è “specifica, libera, informata e inequivocabile”. Si tratta quindi di una sorta di testamento digitale, non sempre redatto, e ancor più raramente conosciuto.

Non tutti i dati, poi, sono personali così come comunemente intesi: alcuni possono assumere valore patrimoniale, e rientrare nell’asse ereditario. È il caso degli asset digitali (wallet crypto, NFT, domini web), delle royalties generate da contenuti online, o degli account monetizzati.

Nel silenzio della legge, in Italia possiamo distinguere tra contenuti patrimoniali (ereditabili ex art. 649 c.c. ss.), contenuti strettamente personali (non trasmissibili), contenuti misti, per cui serve un’analisi caso per caso.

Il vero problema?  non esiste, a oggi, una normativa organica sull’eredità digitale. Alcuni Paesi (come la Germania) si sono mossi prima, con decisioni che riconoscono agli eredi il diritto di accedere ai profili social.

In Italia, la materia è affidata a clausole contrattuali dei provider, spesso redatte secondo il diritto USA e adattate al sistema giuridico ove operano, integrate da norme sparse nazionali e/o europee (parlando di Stati membri dell’UE).

Una soluzione per portare chiarezza sulla disposizione di questa eredità smaterializzata potrebbe essere quella di redigere un testamento digitale, in cui si indicano le credenziali, si designano soggetti autorizzati all’accesso post mortem, e si disciplinano le sorti dei propri contenuti online. Tale documento può essere allegato a un testamento olografo o pubblico, ma anche costituito come scrittura privata, purché datata e sottoscritta.

La morte digitale è una nuova sfida del diritto. Essa non riguarda solo la trasmissione dei beni, ma coinvolge la gestione della memoria e dell’identità. Cancellare un account significa cancellare una storia e “un’anima digitale”. Ma mantenerlo attivo senza controllo può dar luogo a usi impropri, truffe, o vere e proprie “profanazioni del digitale”. Tutti hanno il diritto di essere dimenticati, se questa è la loro volontà.

Il legislatore dovrà inevitabilmente stabilire un quadro normativo chiaro, bilanciando Il diritto alla privacy del defunto con quello degli eredi, evitando di affidare il ruolo di custodi (o forse sarebbe più opportuno definirli ostacoli) dell’eredità digitale ai provider.

Nel frattempo, una cosa possiamo farla: prenderci cura della nostra identità digitale anche in vita. Perché, in un’epoca in cui l’immateriale vale quanto – e talvolta più – del materiale, l’eredità più fragile è spesso quella invisibile.

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